mercoledì 14 novembre 2007

da un altro tempo

io lavoro in un posto strano e difficile da definire, una biblioteca/ristorante/scuola di cucina/enoteca/echipiùneha, che porta il nome di un gastronomo scrittore. il posto è nuovissimo ma sta diventando famoso, oggi ho risposto a un numero imprecisato di mail.
non ho però risposto a quella che mi è piaciuta di più: una lettera manoscritta in calligrafia incerta, che mi ha lasciato senza fiato.

Spett.le Artusi
io possiedo un vostro libro, conosco le vostre ricette.
La mia edizione è stata acquistata nell'80, non ho visto alcune ricette, che ritengo regionali;
nel mantovano sono conosciute.
Se vi interessano sono:
"Tortelli sguasserotti"
"Seor"
"Sbrisolona cotta nel liquore"
Questo è il mio indirizzo

(segue preciso riferimento, completo di numero di telefono.)

a me il delicato compito domattina di rispondere debitamente alla gentile signora che scrive dando del voi. la inviterò a condividere senza meno con noi le sue ricette, e dovrò comunicarle con cautela la notizia della dipartita di Pellegrino Artusi,
avvenuta nel 1911.

mercoledì 31 ottobre 2007

libano/10: comprare zampirone

fra pochi giorni tornerò a casa, più confuso e curioso che mai. non che tre settimane possano bastare a capire alcunchè di un posto qualsiasi, ma di sicuro non di questo qui.
questo nebuloso paese di tutti, pieno di buoni e di cattivi, di resti fenici e romani, con l'università americana e i lussi insensati eppure affascinanti di alcuni di questi mediorientali sui generis, commercianti da generazioni, abilissimi a creare ricchezza ma forse incapaci di vedersi popolo.
gli hezbollah sono gli unici a sbattersi per se stessi e per gli altri, a quanto pare. uno stato nello stato, che però non si fa giudicare facilmente: integralisti e solidali, partigiani e terroristi. sono i più musulmani di tutti, ma sempre e comunque una minoranza.
i libanesi della media borghesia, a quanto pare tendono a parlarsi in francese. la loro lingua madre è l'arabo, ma a scuola non si studia più: per cui continuano a parlarlo ma se incontrano, che so, un egiziano, si capiscono poco. scrivere in arabo, leggere in arabo, lo fanno sempre meno.
nonostante tutto, non pare il caso di parlare del solito popolo che perde l'identità. loro si piacciono così, sono sempre stati così. non danno punti di riferimento, come certi centravanti ungheresi degli anni 50.

ma guarda in che discorsi mi vado a infilare. è che non c'è verso di dormire, le zanzare non danno tregua e come al solito ho mangiato troppo.

domenica 28 ottobre 2007

libano/9 - sud


sono entrato inconsapevole, ma solo un po', nella mia terza e ultima settimana qui. oggi un piano più ambizioso mi doveva portare a damasco, quattro ore di taxi collettivo da beirut se va tutto bene alla frontiera. invece no: ma a damasco bisogna andarci, e presto e comunque lo farò.
non sono andato perchè il weekend comprendeva già troppe cose.
il mercato souk el tayeb, il punto di riferimento un po' controverso di quelli che si vorrebbe fare noi, oggi era più bello che mai. con più banchi e persone. più colore, più cooperative di donne delle montagne e alcuni mai visti contadini del nord. alla terza visita di fila, posso ormai salutare metà delle persone che ci vedo e persino capire quando mi dicono che dovrei imparare un po' d'arabo, perchè vorrebbero parlarmi di più.
al pomeriggio c'è stato il sud, e perdermelo sarebbe stato un peccato.
l'ho capito ormai o no, che questo è un paese assurdo? il sud, a prima vista lo diresti più ricco, a giudicare dalla campagna, i bananeti, le palme cariche di datteri... ma a saida ci sono i bambini palestinesi che fanno l'elemosina e ti si attaccano alle braccia, come raccontano quelli che hanno visto lontane povertà.
abbiamo pranzato spiedini a saida, in un fornello pronto come si fa a cisternino, che in puglia è il paese della carne arrosto. proibiti gli alcolici, e un rimbambito è entrato nel ristorante armato di coltello per risolvere chissà che controversia. l'hanno cacciato a calci in un nanosecondo, che è stato comunque un po' lunghino.
e poi siamo andati a tiro. tyr e saida, tiro e sidone come alle scuole elementari, in un pomeriggio solo.
30 gradi ancora, un cinema all'aperto, mare, mare, mare e lungomare: non ho portato il costume è una scusa un po' sfigata e lo so, ma da queste parti il bagno in mutande proprio non si fa.

mercoledì 24 ottobre 2007

libano/8 - altri libanesi

uno è walid, il presidente di slow food beirut. ha un ristorante e una panetteria, entrambi carissimi, ed è un druso barbuto e pragmatico, incapace di scegliere le parole. parla un inglese mediterraneo, da film: se non può venire a un appuntamento ti telefona, ma invece di chiedere scusa ti dice "forget about it". pare che sia cuoco e architetto, ma dove la fiction si sovrappone alla realtà, lo sa solo lui.
il reciproco di walid è kamal, raffinatissimo businessman maronita dei mercati; proprietario di un appartamento a jemmayzeh, il centro strategico di beirut, nel quale anche i bicchieri dell'acqua hanno un perchè. ai complimenti per l'abitazione rilancia invitandoti nella sua casa seria di batroun, della quale si favoleggia l'impossibile. anche kamal pare essere di formazione un cuoco.
e un'altra è yumna, giovane bancaria musulmana che si è buttata nell'agricoltura biologica. entra nelle sale dei ristoranti catturando un'attenzione immediata, e paziente soddisfa la fila di quelli che la baceranno tre volte sulle guance. non bastasse il fascino del suo sorriso mediorientale, parla solo in francese: anche le sue patate hanno un'innegabile sensualità transalpina.
il portiere della casa ufficio dove vivo, invece, si chiama samir, e abbatte a sguardi e sorrisi la notoriamente ostica barriera della lingua. ho almeno imparato a dire grazie e buongiorno in arabo per un minimo di interazione, ma confesso con imbarazzo che ho scoperto il suo nome solo oggi.
lui invece deve avere accesso a informazioni riservate. è dal primo giorno che mi saluta dalla porta al piano terra: "marhaba gigi...".

lunedì 22 ottobre 2007

libano/7 - colazioni


oggi a tripoli ho visto un po' di questo famoso oriente, che finora mi era riuscito a sfuggire. nel giardinetto in mezzo al quartiere dei pescatori ho immaginato il mercato che sarà; poi ho visto l'asta del pesce, una roba molto tarantina, a parte i narghilè.
solo che a costo di essere noioso, devo raccontare ancora di nelly.

"what do you want to eat, gigi?" mi ha detto sabato seduta al suo banco del souk el tayeb, come guardando da un'altra parte.
(ma cazzo, mi beccano sempre? d'accordo che ero lì che bazzicavo a chiedere e fotografare da mezzora, che non avevo fatto colazione un po' apposta... fai tu, nelly, qual'è la specialità della casa?)
"ok. sit down."
è seduta su uno sgabellino, più in basso di chiunque possa passare, così da lasciare a vista tutto il suo lavoro. io, di fronte a lei.
alla sua destra mouna, l'altra metà dell'impresa: impasta, li per lì, il pane arabo per il rotolo, e lo cuoce su una piastra, sempre lì per lì. attorno, ovunque, i figli di mouna. impossibili da contare.
pane steso sul tavolo.
quello che sembra un formaggio. ("no guarda, è labne, è uno yogurt quasi solido. lo facciamo noi.")
olive. ("le nostre, ci facciamo anche l'olio. in libano c'è l'olio migliore del mondo, lo sai?")
sesamo. ("questo ormai lo importano tutti, noi no.")
salsa al peperoncino. ("ci vuole, credimi. no, no, facciamo noi anche questa.")
pomodoro e cetriolo, estratti da un cestino di vimini e affettati. ("roba del nostro orto.")
coriandolo, stesso procedimento. ("ti piace? ci sono tanti che lo odiano...")
io mangio tutto, cara, figurarsi quello che mi raccontano con tanta passione.
"bon appetit." e mi allunga il rotolo.

se il banco non è troppo affollato, devi mangiare lì. e alla fine, capire che queste due donne non toccano mai il denaro: c'è un cestino, dove paghi quanto ritieni giusto e ti prendi il resto da solo.

("la specialità della casa, gigi, è offerta dalla casa." non ho potuto insistere: le cose senza prezzo, veramente, non si pagano.)

domenica 21 ottobre 2007

libano/6

succederà anche questo, che qualcuno mi chiederà com'era beirut, e io risponderò "bellissima", o qualcosa del genere.
beirut non è bellissima.
è ubriaca, mezza distrutta e multicolore; ha i fari rotti, la musica troppo alta, costruisce le case a caso. ha le moschee e le chiese cattoliche e quelle ortodosse negli stessi metri quadri.
ha un centro di locali e conventi insieme dove si può fare tutto, e un altro downtown nel quale si entra solo dopo ispezione di zaino, perchè è vicino al parlamento. presidiato da soldati a ogni angolo, solo pedonale, contiene ancora tutti gli edifici storici ricostruiti dopo la guerra civile, e una quantità di negozi e locali. vuoti, a tutte le ore. una sotto-città fantasma.
alle porte di questo secondo centro c'è una piazza enorme, con una moschea nel mezzo fatta costruire da rafiq hariri. la moschea pare bellissima, ma ve lo dico per dire perchè non ci si può entrare. in qualità di straniero con la faccia straniera, ho visitato invece senza problemi il mausoleo del costruttore della moschea.
rafiq hariri, il berlusconi libanese, è stato infatti ucciso sul lungomare tre anni fa. nel mausoleo presidiato dall'esercito giorno e notte ci sta 50 volte la sua faccia da tony soprano mediorientale, e un incredibilissimo e gigantesco count up, un conto alla rovescia rovesciato che dice da quanti giorni l'hanno ammazzato.
l'ho detto e lo ripeto, che questo popolo non vuole dimenticare niente, e chissà se fa bene o fa male.

giovedì 18 ottobre 2007

libano/5 - italiani all'estero

non dico tutti: questi della cooperazione internazionale, povere anime espatriate per mesi e mesi in africa, sudamerica o medio oriente, lontane dalle coop e dalle gazzette dello sport, che tornano a casa per natale e subito si rendono conto di non saperci vivere più, e ripartono per qualche altro altrove.

che si adattano rapidamente allo stile di guida ospitante, specie se peggiorativo in termini di sicurezza e legalità: passano col rosso, parcheggiano negli angoli, fanno retromarce venticinquemetriche nel traffico dell'ora di punta.

guardano rai uno alla tv, che a casa corrisponde a un pulsante ammuffito o rimosso dal telecomando.

si affezionano alla birra locale, in realtà prodotta da qualche multinazionale olandese, per poi commuoversi alla prima, improbabile apparizione della moretti baffodoro. (gli stessi olandesi, nottetempo, hanno sostituito l'etichetta.)

e non viaggiano mai da soli: li accompagna una moka bialetti standard da 2-3 tazzine, patrimonio culturale e genetico di un popolo intero.

martedì 16 ottobre 2007

libano/4

io sono qui per aiutare queste persone ad aprire un mercato; esiste in teoria un modo per farlo, che è stato pensato e scritto molto lontano, e sta a me cambiarlo un pochino e renderglielo più digeribile.
d'altra parte non si cambia continente per andare a spiegare a un popolo come comportarsi a casa sua: è un lavoro di mediazione totale e oggi è iniziato sul serio. ho combattuto per 3 ore metro a metro con questi che di fondo non vanno d'accordo nemmeno fra di loro, ma sono animati da passione ed entusiasmo, e soprattutto ho combattuto con il mio bisogno di farmi voler bene da tutto il mondo conosciuto.
è stata dura ma sono venuto apposta, ho pensato nel dopomeeting mentre mi ubriacavo con il capoprogetto.

lunedì 15 ottobre 2007

libano/3

questo fatto della guerra, degli spari, delle bombe, ogni secondo lo dimentichi e qualcosa te lo ricorda.
te lo dimentichi perchè qui si vive; a beirut sono tutti in mezzo alla strada, nei ristoranti e nei bar e a fumare il narghilè, e pare per il più del tempo che le 17 confessioni possano convivere o perlomeno ignorarsi pacificamente. Li trovi seduti negli stessi posti e specialmente le donne sono un mix stupefacente di oriente e occidente, di tacchi a spillo e veli.

si gioca a pallone, si fa la spesa, ci si grida gli insulti dei finestrini delle macchine come in una torre del greco qualunque.

però quando gli parli, i libanesi non esistono. esistono invece i drusi, i sunniti, gli sciiti, i maroniti e tutti gli altri. esiste il quartiere hezbollah con le foto dei soldati appese a tutti i lampioni, andando in macchina a tripoli si passa accanto a quello che era un campo profughi e troppo bene si vede la distruzione. ci sono i carri armati con i soldati giovanissimi e i buchi nei muri dei palazzi.

non ci saranno i libanesi, ma ci sono le storie e le persone. una si chiama nelly, con una sua socia produce un formaggio vegetale, fatto senza latte ma dalla fermentazione di un grano. nelly ha scelto cinque anni fa di andare a vivere nel sud, non lontano da israele, per fare il suo formaggio e mille altre cose di una vita da contadina, a contatto con il mondo che le piace. l'anno scorso si è trovata in mezzo tra gli israeliani e gli hezbollah, ha tenuto duro finchè la presenza delle mine nei suoi campi si è fatta intollerabile, ed è dovuta andare. con la sua testa dura di capelli bianchi e ricci nelly sta ricostruendo una casa e un laboratorio in un altro villaggio a nord di beirut, e ieri dovevate vederla mentre mostrava il nuovo spazio della sua vita bombardata, dei suoi progetti da sminare, con l'energia felice e gesticolata di chi non molla nè ora nè mai nella mano sinistra e il caffè turco nella destra.

libano/2

abou rabih non si chiama veramente così. questo, semplicemente, è il risultato di una bella inversione a u della cultura araba: quando diventi padre, o madre, chi ti conosce è in diritto di non chiamarti più per nome. diventi, da allora e per sempre, il papà del tuo primogenito. abou rabih, dunque, è il papà di rabih.
è anche vero che ha quattordici altri figli, il nostro eroe, e due mogli, e sempre un nuovo piano da aggiungere al suo palazzetto di campagna nell'entroterra del nord, vicino a tripoli. nonostante una visione dell'urbanistica piuttosto particolare, abou è un coltivatore biologico integralista. due rappresentanti della prole sopracitata hanno assistito senza mai intervenire alla nostra conversazione, e dopo acqua, succhi caffè e dolci ci hanno allungato piatti da tre cachi ciascuno, cachi che mai lingua umana avrebbe potuto concepire, da mangiare a morsi, sbrodolarsi e sporcarsi indelebilmente le mani, in modo da potersele leccare almeno un po' nella mezzora successiva.

sabato 13 ottobre 2007

libano/1

oggi ho visitato un mercato e un forno, ho pranzato a forza di mezze, come delle tapas ecologiche dei libanesi, ho girato in macchina in lungo e in largo questa città incasinatissima e ancora mezzo bombardata, come se non volesse dimenticare niente del suo passato più e meno recente. mi dicono che da lunedì guido io, e ho riflettuto sul signficato di queste due parole mentre vedevo il traffico scorrere delirante a destra, sinistra, sopra e sotto.
ma la verità è che a trascorrere pomeriggi interi a discutere in posti dove tutti ti fumano attorno non sono più abituato: e dire che ho passato così tutti i giovedì pomeriggio di otto anni della mia vita.

libano/0

eccomi tornato nell'estate, di un posto da 24 gradi di notte, appena attraversato in macchina senza capirci niente nè vedere niente.
sull'aereo da francoforte c'era una variegata popolazione mediorientale immigrata in europa e io.
seduto in mezzo a una signora svizzero/libanese e a un ristoratore libano/norvegese. ho appreso dunque che tutto questo popolo vive, fondamentalmente, da un altra parte; che tutti hanno un amico che ha studiato in italia e una nuora mezza italiana (mi aspettavo da un momento all'altro che mi facessero i nomi e mi chiedessero se li conoscevo); che probabilmente tutti sanno di cibo più di me (che ho scritto sul foglio del visto food consultant, con improvvida presunzione), ed hanno passato la metà del tempo a spiegarmi le proprietà dell'arak, a raccontarmi dei vini della valle della bekaa e delle insalate di prezzemolo.
tornavano, la signora ed il ristoratore, a casa dopo anni di europa, e si parlavano alla mia destra e alla mia sinistra metà in arabo, metà in inglese e metà in francese, per un totale di 1,5 conversazioni.
avevano voglia di casa. poco prima dell'atterraggio il ristoratore mi ha dato di gomito e ha picchiettato sul vetro con una piccola emozione, per mostrarmi le luci di beirùt.

venerdì 12 ottobre 2007

citazione necessaria*

ci sarà figa a beirut?

Fri, Oct 12
Flights: LUFTHANSA, LH 3975
Operated by EUROWINGS
From: BOLOGNA, ITALY (BLQ) Departs: 6:25pm
To: FRANKFURT, GERMANY (FRA) Arrives: 8:05pm
Departure Terminal: Duration: 1 hour(s) and 40 minute(s)
Arrival Terminal: TERMINAL 1 Class: Economy
Seat(s): Check-In Required Status: Confirmed
Notes:
Gate:
Aircraft: BRITISH AEROSPACE 146 JET Airline Confirmation: ZV74OP
Meal: Refreshment - Complimentary Mileage: 401
Smoking: No Frequent Flyer:
Please verify flight times prior to departure
Flights: LUFTHANSA, LH 3518
From: FRANKFURT, GERMANY (FRA) Departs: 9:10pm
Fri, Oct 12
To: BEIRUT, LEBANON (BEY) Arrives: 1:55am
Sat, Oct 13
Departure Terminal: TERMINAL 1 Duration: 3 hour(s) and 45 minute(s)
Arrival Terminal: Class: Economy
Seat(s): Check-In Required Status: Confirmed
Notes:
Gate:
Aircraft: AIRBUS INDUSTRIE A321 JET Airline Confirmation: ZV74OP
Meal: Refreshment - Complimentary Mileage: 1763
Smoking: No Frequent Flyer:
Please verify flight times prior to departure


*Enzo Baldoni, Bloghdad

giovedì 4 ottobre 2007

ho fatto

un po' di fretta, un po' troppo di fretta, certo.
rimpiangerò le birre che non ho bevuto per festeggiare, sono invece corso via dal tribunale. e ci sono già a 700 chilometri, e domani pretendo di tornare alla vita quotidiana.
si sappia comunque che in un tribunale tutto e il contrario di tutto può capitare, il diritto è più incerto lì che ovunque altro al mondo. gli avvocati arrivano all'ultimo momento o non arrivano affatto, danno pacche sulle spalle, non ascoltano mai e parlano sempre, offrono caffè, hanno una battuta per tutti, ed il loro lavoro sembra essere quello e nient'altro.
siamo noi che ci presentiamo illusi, armati dei diritti che crediamo di avere; e i termini ci sono presentati come improrogabili mentre non lo sono quasi mai.
ho fatto dunque. mi sono presentato di fronte a un giudice con un numero e due assegni, ed è andata bene. due più disgraziati di me hanno partecipato all'asta che doveva salvarmi la vita o ammazzarmi. ho dovuto solo aspettare il tempo legale per i rilanci: 180 secondi, scanditi da un tabellone rosso sottratto ad una vecchia edizione di giochi senza frontiere. truccato da Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi in persona però: altrimenti non si spiega come 3 minuti possano durare tre ore, tre giorni, tre vite.

giovedì 27 settembre 2007

baltasar garçon

fra le varie personalità che ti puoi portare dietro, è la meno comoda da indossare. in quella veste, il mondo tende non farti caso; o sottovalutare, in maniera più o meno giustificata, te che ti eri svegliato tutto ringalluzzito e fiducioso nelle tue capacità.
dev'essere la mia voce, o un certo stile poco serio che mi contraddistingue mattina e sera e certi giorni di più.
ho avuto ieri una giornata così, e sembrava non finire mai.
ho provato l'ineffabile ebrezza della trasparenza;
ho salutato vivace ricevendo silenzi o sopracciglia;
e le peggio cose mi sono state chieste con la massima naturalezza: badare che ho pulito più cessi io della maggior parte dei miei conoscenti messi assieme, e con una certa fierezza. l'errore sta nella sensazione che quello che ti chiedono, mai accetterebbero fosse chiesto a loro.

lunedì 17 settembre 2007

tripepi e il perfido mondo dell'incanto

quando iniziai quell'altro blog, mi feci un bel mailone di amici e conoscenti e lo mandai. per far sapere al mondo (che forse attendeva con ansia, ma più probabilmente no) che in quelle righe avrei raccontato di me.
quel blog è finito quando è finito un certo pezzo della mia vita, e sono dunque accucciato qui: nessuno che io guardi abitualmente in faccia sa. metto da parte un po' di vanità (sapeste quanto mi piace essere letto dagli amichetti miei) e cerco di scrivere ancor più per me e per chi ha voglia o fortuna (?) di trovarmi per caso.
potrò dunque immaginare e raccontare un mio personale legal thriller dei poveri, come forse altrove non avrei fatto?
fate conto che un poco scaltro gastronomo di forlì, ma originario di altri, più intensi e meno digeribili luoghi, si trovi suo malgrado incartato in una trista e tosta faccenda giudiziaria.
la casa dove è cresciuto, dove ha corso a perdifiato quando gli sembrava immensa e camminato sbuffante nell'adolescenza, il posto dove è scappato da scuola con gruppi di giocatori di scopone, dove ha dato alcuni primi baci e avute altre primevolte, la casa dove si direbbe che è cresciuto... ebbene si supponga che su questa casa si sia abbattuta la scure di una doppia ipoteca e di un secco e ormai inoppugnabile provvedimento esecutivo.
con la scusa di non averne colpa, il nostro gastronomo potrebbe a lungo aver ignorato la vicenda, per poi essere secchiato in faccia dalla realtà nella forma di una troppo familiare descrizione su un sito di aste giudiziarie.
costretto dagli eventi, il nostro eroe dovrà ammettere di possedere almeno un genitore dall'ipoteca facile; più un altro, residente nella casa in questione, particolarmente incapace di accettare le ingiuste ma pressanti esigenze della vita concreta. fra i due, nessun rapporto più da anni.
il protagonista della storia, che ve lo dico a fare, è uno di quei soggetti vittimisti che amano farsi carico delle cose per potersi credere indispensabili. ha dunque deciso di intervenire nella complessa vicenda; anni prima ce lo hanno laureato in scienze economiche e bancarie, il disgraziato, ma come hanno fatto non se lo ricorda più.
naviga pertanto a vista in mezzo ad avvocati, magistrati, recuperatori di crediti, senza capire bene che succede. dalla sua, perchè qualcosa glielo dovremo pur concedere, l'affetto di un piccolo mondo che lo sostiene: non essere solo è la sua unica forza, e a volerselo dire non è poco.
oggi il nostro piccolo e impaurito eroe ha deciso di andare all'asta a ricomprarsi la casa della sua mamma. lì dove regnano squali speculatori in grado di papparselo con uno sguardo solo, egli combatterà con la disperata arma della sua superiore motivazione. (più un assegno circolare, la restituzione del quale sarà l'oggetto della sua prossima, spettacolare insonnia)

giovedì 13 settembre 2007

troppo facile

come si seduceva dunque? non mi ricordo più. stasera nel film zingaretti ha cucinato fiori, si è finto esageratamente sanguigno e umorale, si è avvicinato a bocche a tradimento, ha sussurrato e alluso.

l'ultima volta che ho sedotto qualcuno era una donna toscana più alta di me, cha aveva passato un bel po' di una serata a raccontarmi di due anni della sua vita in costarica. doveva aver vissuto davvero, eppure con quel racconto sembrava difendersi un po'. aveva due tatuaggi sulla spalla, che erano diventati uno, un uccello serpente. e tutto questo deve avermi fatto paura e brividi, se alla fine, a ripensarci, il sedotto credo di essere stato io e quella che è andata via lei.

domenica 9 settembre 2007

delle domeniche a rischio e del paese di altamura

svegliato con tante buone intenzioni casalinghe, cose logiche ed infelici connesse con i detergenti, gli armadi e le stagioni, sono stato tradito subito da una canzone.

ebeh, basta quel poco. ho cercato una mia amica, con l'idea di raggiungerla e cucinare insieme, e lei mi ha freddato "sono al lavoro".

dopo pochi minuti di altre pensate c'è stata la deriva consumista: triste, solitario y commercial, ho ricordato l'apertura domenicale del comet. ecco, con una ipocrita scelta di vocaboli potrei dire di aver bisogno di un nuovo portatile (è vero e non e vero) per cui già in macchina masticavo le parole dual, core, hard, wifi, presario, ma soprattutto 599, TAN e TAEG. avevo con me una busta paga di luglio, di un veramente misero contratto a progetto, per forse mendicare un finanziamento che io, oggettivamente, mai mi sarei concesso. ma sapevo che loro sì, maledizione.

ebbene, "l'offerta del volantino è terminata", cara la mia anima sperduta, sii felice e triste al tempo stesso che forse riuscirai per una volta in un acquisto meditato invece della prima cazzata che ti propongono, ma neanche tornerai a casa a spacchettare come il bambino dell'asilo che è in te così fortemente desiderava.

ok.

compro il pane in uno di questi forni aperti della domenica.

non sfuggirà l'antitesi: i forni veri, alla domenica, devono essere chiusi. i veri fornai possono dormire solo alla domenica.

ora, io non conosco invero il nome di questo posto, ma potremmo chiamarlo, per convenzione, Alla Baguette Precongelata. ha un grande e misterioso successo nella cittadina un tempo rispettabile che abito, e devo essere lontano anche dalla mia, di rispettabilità, se mi ritrovo attratto, atterrato, atterrito in questa bolgia farinacea, in questo paradiso della catena del freddo.

quando è arrivato il mio numerino, ho voluto chiedere alla ragazza dietro al banco se avesse un qualsiasi pane di semola.

lei (povera stella non è colpa sua, ho fatto tutto da solo), lei cosa poteva rispondermi? cosa intende con semola? farina gialla?

ho dovuto annuire.

c'è l'altamura...

"Gentile Signorina.

Nel paese di Altamura, in provincia di Bari, c'è una bellissima depressione chiamata "Il Pulo di Altamura", una specie di canyon dove alcuni vanno ad arrampicare e crescono i capperi allo stato brado. I fornai di Altamura lavorano in forni di pietra altissimi e abitabili, e ci mettono dentro il Pane di Altamura, ottenuto da lievito madre, acqua tiepida, sale marino e semola rimacinata di grano duro dell'Alta Murgia barese. Lo fanno lievitare un bel tre ore, poi lo rilavorano, poi lo fanno lievitare un'altra ora, poi lo cuociono nei forni in questione per 90 minuti a 250 gradi.

Ora, lei, invece, cosa intende con "altamura"?."

ho creduto di rispondere così. ma è solo nei miei discorsi interiori che sono così snob.

devo aver detto, invece: "Va bene."



mercoledì 5 settembre 2007

hair

vado finalmente a tagliarmi i capelli. ho abbandonato bruscamente la multinazionale delle chiome e i suoi tagli un po' metrosexual in un accesso di suscettibilità, la volta scorsa che mi hanno trattato male, credo, non mi ricordo più.
però, per attutire il traumino di cambiar barbiere, di farmi mettere le mani in testa da altri, di chiacchierare con altri di zanzare, di leggere altre genti e altri panorami, comprometto. torno da un barbiere-ex, lasciato almeno un cinque anni fa, anche in questo caso per ragioni dimenticate.
lui ricorda, è chiaro, ma dissimula con classe e silenziosa soddisfazione, come se mi aspettasse.
e appena rientro ricordo tutto anch'io:
- questo posto pulitissimo con la radio locale accesa, e scansioni di appuntamenti impeccabili che non si incrociano mai;
- i teli tigrati che ti mettono addosso e i capelli tagliati che a finirci sopra si imbarazzano un po', e se possono evitano;
- il doppio shampoo prima e dopo, eseguito con cautela ostetrica, intervallato in corso di taglio da spruzzate di vapore acqueo proveniente da un sobrio contenitore pervinca caricato a sangemini;
- in generale, quel senso di spossessamento della propria testa per una mezzora, che termina con l'accettazione finale di un gel non voluto. d'altronde è domanda retorica, non spetta a me decidere.
ho passato quel tempo a guardare e pensare, prevalentemente ho fatto illazioni interiori su una vita segreta da barbiere. il giorno in cui, senza tema di smentite, uno si dice con fare risoluto voglio tagliare i capelli agli uomini, perchè tanta meticolosa applicazione non può essere frutto del caso.
scolpito nel nuovo taglio davanti al registratore di cassa, all'ultimissimo minuto, ho ricordato anche le ragioni del precedente abbandono; più o meno fra due mesi si capirà se sono più vanitoso o più attaccato al denaro.

martedì 4 settembre 2007

diluvia

sono giorni che non mi sento proprio ben disposto a favore di mio padre; anche in questo non ero cresciuto abbastanza, si vede, e ancora non ero pronto a misurarmi con il mio papà quello vero, che ha sostituito a tradimento il supereroe dell'italsider della mia infanzia.
alla faccia della dura realtà, oggi ho avuto un pensiero affettuoso nei suoi confronti. un pensiero distante, purtroppo, che tale rimarrà. non è diverso infatti il rapporto nostro da un milione di altri padrefiglio, che prevede la regola inscalfibile di non dirsi mai niente di importante.
ebbene, oggi. la prima, seconda e terza cosa che ho fatto nel mio nuovo esordio lavorativo, relative beginner: ho scritto. ho cercato di raccontare l'evento che la mia nuova sede di lavoro, per certi versi, ospiterà. un concerto dedicato a sergio endrigo.
non si discute che toccasse spiegare, magari in tre righe, chi fosse sergio endrigo.
e subito mi è venuta in mente una cosa, della quale non sono mai stato abbastanza grato. ed è ciò che ho scritto per spiegare: che sergio endrigo, magari senza saperlo, lo conoscono tutti quei bambini degli anni 70 che hanno avuto la fortuna di un papà che cantava in macchina come il mio.

magari questa canzone.

venerdì 31 agosto 2007

paesi felici

hanno paesani che non pronunciano nessuna vocale, frequentatori di bar e balere, acuti osservatori di architettoniche mancanze con l'occhio allenato dell'ex elettricista, falegname e carpentiere; criticano con gusto maggioranza e opposizione ma ancora sono capaci di stupire e stupirsi.
sono muniti di sindaci vernacolari piuttosto sovrappeso, nemici delle cravatte che pure indossano, e che pronunciano delle triple esse al posto delle zeta.
ma sono occultamente e interamente gestiti da piacenti e solo ai primi 5 minuti insospettabili signore cinquantenni, spesso mogli del sindaco precedente, eppure nè ciniche nè nient'altro, conquistatrici e conquistabili allo stesso tempo, e per questo tra i migliori possibili esseri umani.

mercoledì 29 agosto 2007

vino bianco va bene, grazie. non è che avresti dell'erbaluce?

padroni di non crederci, ma ce la farò.
per quanto nemmeno mi riesca di far funzionare questo blog, al quale paiono necessarie delle mezze giornate di decanter per visualizzare i commenti.
potrei per esempio prendere sul serio il mio nuovo lavoro durante il giorno e la settimana ed evadere piccoloborghesemente ogni sera e weekend.
oggi mi è saltata la catena della bici davanti alla villa di proprietà di un cane notoriamente aggressivo. sulle prime non me ne sono reso conto, ma dopo 10 minuti di smanettamenti, giramenti multipli uno dei quali della bici stessa, clacson rintronati a me che non avrei dovuto esistere nemmeno a margine del mondo degli automobilisti, cose così, insomma, ci ho pensato: e il cane? che m'abbaia al solo pensiero mio di uscire a fare la spesa, quando ancora sono dentro casa a 150 metri dai suoi domini? ho guardato: niente. ho riguardato, niente. al terzo sguardo l'ho visto: immobile, mi teneva d'occhio. nessuna preoccupazione, pure ero a 30 centimetri dal cancello.
ho sistemato la catena, lui fermo. ho provato delle pedalate a bicingiù, lui lì. ho ricapovolto la bici, lui niente. ci sono salito: impercettibile movimento canino, cambio di stato, defcon 4.
una pedalata: partenza. lo sospettavo. lo sanno tutti. pure non volevo crederci. mi sono fermato, e lui pure.
gigi, il telecomando umano per cani. ora che mi sono trovato sto superpotere, chi m'ammazza più?

lunedì 27 agosto 2007

POCHE, RAPIDE ISTRUZIONI PER UNA DISPERAZIONE

non cucinate. tutto viene male, anche le patate lesse.
non telefonate a nessuno perchè sarebbe ingiusto. la merda non si esporta.
abbandonatevi ad un modesto alcolismo da 66cl, tanto non avete il fisico per i distillati.
mettete su la peggio musica che avete sul disco fisso, chè niente di allegro potrebbe servire.
guardate più ore possibili consecutive di telefilm americani. alla fine sarà tutto uguale, ma avrete trascorso una congrua quantità di tempo anestetizzati. tutta vita.
non provate a dormire, è inutile.
invidiate quanti hanno patimenti amorosi, le vittime di ipocrisie, tradimenti, orgasmi simulati.
non provate a invocare la grazia delle zanzare tigre, che delle vostre atroci sofferenze se ne sbattono altamente.
scrivete, se vi pare. probabilmente il mondo è pieno di altri sfigati che se la passano peggio e se la piangono meno.

mercoledì 22 agosto 2007

prima contratto, poi scarpe.

ieri mi hanno offerto nemmeno un lavoro, la promessa di un lavoro. questa semplice prospettiva, oltre ad una serie di buonumori e speranze, mi ha indotto ad entrare in un centro commerciale e a farmelo per intero.
ho guardato scarpe e felpe senza comprare, solo per riassaporare la sensazione di considerare quegli acquisti; ho letto le percentuali di sconto immaginario; e alla fine mi sono accontentato di ben più piccolo gesto consumista: sono entrato nel supermercato con il carrello.

martedì 21 agosto 2007

darksider

c'è poi la sfida di estrarre qualcosa anche la sera che proprio non ce la fai, che hai tirato fuori al telefono il peggio di te, quella parte che riservi unicamente a certi parenti stretti, e per fortuna nemmeno tutti i giorni. il te che urla e non chiede scusa, che cade nelle trappole e ci si dimena furioso finchè è troppo stanco per andare avanti e medita ancora altra furia per il giorno dopo. ma per fortuna il giorno dopo arriva insieme ad altre cose, e l'odio che pareva inestinguibile si dimentica da solo.

lunedì 20 agosto 2007

swedish pop

il bello della radio è che in un programma che non ti piace neanche possono all'improvviso accenderti una lucina e metter su un pezzo che non ricordavi neanche di conoscere. un pezzo che era da qualche parte e avresti potuto comunque ritrovarlo, ma alla radio non ti dicono in anticipo l'effetto che potrebbe farti.
oggi in macchina sono stato riproiettato alla mia prima inghilterra, del 1984. e a certi primi baci svedesi con una annika tornquist con l'apparecchio ai denti, pure ai miei occhi dotata di un invincibile fascino latitudinale.
così disse di chiamarsi, ma avrei scoperto in seguito trattarsi di un nome d'arte. forse dava queste generalità a tutti gli adolescenti italiani con l'assurda mania del numero di telefono, temendo che i poveretti l'avrebbero richiamata davvero.
certo, a baciare annika tornquist nessun metallo era percepibile. e a fine estate, insieme alle sue false generalità, mi regalò un gigantesco leccalecca a forma di cuore.

non era questo, ma questo mi va di sentire

domenica 19 agosto 2007

Domenica Digerita

su e giù per certe curve dell'ignoratissimo appennino di romagna, guardavo contento dai finestrini di essermi lasciato trascinare a un bagno nel fiume e barbecue domenicale.
l'acqua, freddissima, era classificata di categoria D: ho deciso di non chiedermi cosa possa voler dire. mi sono concentrato sulle melanzane dell'orto dei miei zii, piuttosto.
un giorno, dopo tutta la east coast degli stati uniti e la campagna della valle d'itria, vorrò abitare anche a rocca san casciano. oltre che non abbastanza soldi, è che non si ha abbastanza vita per vivere in tutti i posti dove si vorrebbe, e ci si accontenta di buttare un occhio.

sabato 18 agosto 2007

apatik, la spia che oziava

pure non dovrebbe essere troppo difficile scrivere ogni sera, per non dimenticarsi come si fa. immagino che a prendere l'abitudine potrebbe essere come lavarsi i denti.
a maggior ragione da qui dove nessuno mi vede, e posso evitare di mettermi in discussione e pensare se quello che dico è di un minimo interesse al mondo.
la finestra di fronte stasera è chiusa. vedo la luce accesa, ma non posso sbirciare il clan mediorientale che mi abita a tre metri. algerini, credo, sorridenti, gruppone di tre generazioni che paiono compatti e chissà se lo sono, o sono come tutti noi.
hanno un fantastico patriarca che cammina tutti i giorni in caffettano bianco e mi saluta con cenno deciso della mano. e la sua signora prega dandomi le spalle: una sera che ha lasciato la finestra aperta ho imparato da che parte è la mecca.

venerdì 17 agosto 2007

tango per cominciare

io non credo negli attrezzi. le chiavi inglesi mi si rivoltano contro con pervicacia, ignoro la poesia dei cacciavite ben utilizzati, non so far uso di martelli senza esserne additato.
pure vorrei. vorrei essere preciso e soddisfatto del mio lavoro manuale... oggi, perchè non mi si dica che non ci provo, ho smontato la ruota didietro della mia bici.
ho provato a crederci, e in un attimo di fede i due dadi laterali sono venuti via. in seguito, ho rimosso delicatamente la catena e preso su, trionfante, la ruota. da portare indegnamente a cambiare la camera d'aria, che un tempo undicenne sapevo fare da solo ma adesso non più.
il ciclista, chiamiamolo così che questa volta è il caso, prima di aggiustare e vendere le bici era un professionista. non gliel'ho chiesto, lo so: ho letto prima il cognome e poi il nome sull'insegna, e come risentito l'eco della voce di adriano dezan. e dentro ho trovato le maglie e la gloria passata di uno che forse era gregario di moser.
a casa, la bici mi aspettava zoppicante e colma di speranze mal riposte. la fatica che ho fatto a tentare di ridarle un senso, a rimontare quella ruota per un verso. e ancora non so se ce l'ho fatta davvero.

peraltro, ieri sono stato a un bel concerto