domenica 6 gennaio 2008

mercoledì 14 novembre 2007

da un altro tempo

io lavoro in un posto strano e difficile da definire, una biblioteca/ristorante/scuola di cucina/enoteca/echipiùneha, che porta il nome di un gastronomo scrittore. il posto è nuovissimo ma sta diventando famoso, oggi ho risposto a un numero imprecisato di mail.
non ho però risposto a quella che mi è piaciuta di più: una lettera manoscritta in calligrafia incerta, che mi ha lasciato senza fiato.

Spett.le Artusi
io possiedo un vostro libro, conosco le vostre ricette.
La mia edizione è stata acquistata nell'80, non ho visto alcune ricette, che ritengo regionali;
nel mantovano sono conosciute.
Se vi interessano sono:
"Tortelli sguasserotti"
"Seor"
"Sbrisolona cotta nel liquore"
Questo è il mio indirizzo

(segue preciso riferimento, completo di numero di telefono.)

a me il delicato compito domattina di rispondere debitamente alla gentile signora che scrive dando del voi. la inviterò a condividere senza meno con noi le sue ricette, e dovrò comunicarle con cautela la notizia della dipartita di Pellegrino Artusi,
avvenuta nel 1911.

mercoledì 31 ottobre 2007

libano/10: comprare zampirone

fra pochi giorni tornerò a casa, più confuso e curioso che mai. non che tre settimane possano bastare a capire alcunchè di un posto qualsiasi, ma di sicuro non di questo qui.
questo nebuloso paese di tutti, pieno di buoni e di cattivi, di resti fenici e romani, con l'università americana e i lussi insensati eppure affascinanti di alcuni di questi mediorientali sui generis, commercianti da generazioni, abilissimi a creare ricchezza ma forse incapaci di vedersi popolo.
gli hezbollah sono gli unici a sbattersi per se stessi e per gli altri, a quanto pare. uno stato nello stato, che però non si fa giudicare facilmente: integralisti e solidali, partigiani e terroristi. sono i più musulmani di tutti, ma sempre e comunque una minoranza.
i libanesi della media borghesia, a quanto pare tendono a parlarsi in francese. la loro lingua madre è l'arabo, ma a scuola non si studia più: per cui continuano a parlarlo ma se incontrano, che so, un egiziano, si capiscono poco. scrivere in arabo, leggere in arabo, lo fanno sempre meno.
nonostante tutto, non pare il caso di parlare del solito popolo che perde l'identità. loro si piacciono così, sono sempre stati così. non danno punti di riferimento, come certi centravanti ungheresi degli anni 50.

ma guarda in che discorsi mi vado a infilare. è che non c'è verso di dormire, le zanzare non danno tregua e come al solito ho mangiato troppo.

domenica 28 ottobre 2007

libano/9 - sud


sono entrato inconsapevole, ma solo un po', nella mia terza e ultima settimana qui. oggi un piano più ambizioso mi doveva portare a damasco, quattro ore di taxi collettivo da beirut se va tutto bene alla frontiera. invece no: ma a damasco bisogna andarci, e presto e comunque lo farò.
non sono andato perchè il weekend comprendeva già troppe cose.
il mercato souk el tayeb, il punto di riferimento un po' controverso di quelli che si vorrebbe fare noi, oggi era più bello che mai. con più banchi e persone. più colore, più cooperative di donne delle montagne e alcuni mai visti contadini del nord. alla terza visita di fila, posso ormai salutare metà delle persone che ci vedo e persino capire quando mi dicono che dovrei imparare un po' d'arabo, perchè vorrebbero parlarmi di più.
al pomeriggio c'è stato il sud, e perdermelo sarebbe stato un peccato.
l'ho capito ormai o no, che questo è un paese assurdo? il sud, a prima vista lo diresti più ricco, a giudicare dalla campagna, i bananeti, le palme cariche di datteri... ma a saida ci sono i bambini palestinesi che fanno l'elemosina e ti si attaccano alle braccia, come raccontano quelli che hanno visto lontane povertà.
abbiamo pranzato spiedini a saida, in un fornello pronto come si fa a cisternino, che in puglia è il paese della carne arrosto. proibiti gli alcolici, e un rimbambito è entrato nel ristorante armato di coltello per risolvere chissà che controversia. l'hanno cacciato a calci in un nanosecondo, che è stato comunque un po' lunghino.
e poi siamo andati a tiro. tyr e saida, tiro e sidone come alle scuole elementari, in un pomeriggio solo.
30 gradi ancora, un cinema all'aperto, mare, mare, mare e lungomare: non ho portato il costume è una scusa un po' sfigata e lo so, ma da queste parti il bagno in mutande proprio non si fa.

mercoledì 24 ottobre 2007

libano/8 - altri libanesi

uno è walid, il presidente di slow food beirut. ha un ristorante e una panetteria, entrambi carissimi, ed è un druso barbuto e pragmatico, incapace di scegliere le parole. parla un inglese mediterraneo, da film: se non può venire a un appuntamento ti telefona, ma invece di chiedere scusa ti dice "forget about it". pare che sia cuoco e architetto, ma dove la fiction si sovrappone alla realtà, lo sa solo lui.
il reciproco di walid è kamal, raffinatissimo businessman maronita dei mercati; proprietario di un appartamento a jemmayzeh, il centro strategico di beirut, nel quale anche i bicchieri dell'acqua hanno un perchè. ai complimenti per l'abitazione rilancia invitandoti nella sua casa seria di batroun, della quale si favoleggia l'impossibile. anche kamal pare essere di formazione un cuoco.
e un'altra è yumna, giovane bancaria musulmana che si è buttata nell'agricoltura biologica. entra nelle sale dei ristoranti catturando un'attenzione immediata, e paziente soddisfa la fila di quelli che la baceranno tre volte sulle guance. non bastasse il fascino del suo sorriso mediorientale, parla solo in francese: anche le sue patate hanno un'innegabile sensualità transalpina.
il portiere della casa ufficio dove vivo, invece, si chiama samir, e abbatte a sguardi e sorrisi la notoriamente ostica barriera della lingua. ho almeno imparato a dire grazie e buongiorno in arabo per un minimo di interazione, ma confesso con imbarazzo che ho scoperto il suo nome solo oggi.
lui invece deve avere accesso a informazioni riservate. è dal primo giorno che mi saluta dalla porta al piano terra: "marhaba gigi...".

lunedì 22 ottobre 2007

libano/7 - colazioni


oggi a tripoli ho visto un po' di questo famoso oriente, che finora mi era riuscito a sfuggire. nel giardinetto in mezzo al quartiere dei pescatori ho immaginato il mercato che sarà; poi ho visto l'asta del pesce, una roba molto tarantina, a parte i narghilè.
solo che a costo di essere noioso, devo raccontare ancora di nelly.

"what do you want to eat, gigi?" mi ha detto sabato seduta al suo banco del souk el tayeb, come guardando da un'altra parte.
(ma cazzo, mi beccano sempre? d'accordo che ero lì che bazzicavo a chiedere e fotografare da mezzora, che non avevo fatto colazione un po' apposta... fai tu, nelly, qual'è la specialità della casa?)
"ok. sit down."
è seduta su uno sgabellino, più in basso di chiunque possa passare, così da lasciare a vista tutto il suo lavoro. io, di fronte a lei.
alla sua destra mouna, l'altra metà dell'impresa: impasta, li per lì, il pane arabo per il rotolo, e lo cuoce su una piastra, sempre lì per lì. attorno, ovunque, i figli di mouna. impossibili da contare.
pane steso sul tavolo.
quello che sembra un formaggio. ("no guarda, è labne, è uno yogurt quasi solido. lo facciamo noi.")
olive. ("le nostre, ci facciamo anche l'olio. in libano c'è l'olio migliore del mondo, lo sai?")
sesamo. ("questo ormai lo importano tutti, noi no.")
salsa al peperoncino. ("ci vuole, credimi. no, no, facciamo noi anche questa.")
pomodoro e cetriolo, estratti da un cestino di vimini e affettati. ("roba del nostro orto.")
coriandolo, stesso procedimento. ("ti piace? ci sono tanti che lo odiano...")
io mangio tutto, cara, figurarsi quello che mi raccontano con tanta passione.
"bon appetit." e mi allunga il rotolo.

se il banco non è troppo affollato, devi mangiare lì. e alla fine, capire che queste due donne non toccano mai il denaro: c'è un cestino, dove paghi quanto ritieni giusto e ti prendi il resto da solo.

("la specialità della casa, gigi, è offerta dalla casa." non ho potuto insistere: le cose senza prezzo, veramente, non si pagano.)

domenica 21 ottobre 2007

libano/6

succederà anche questo, che qualcuno mi chiederà com'era beirut, e io risponderò "bellissima", o qualcosa del genere.
beirut non è bellissima.
è ubriaca, mezza distrutta e multicolore; ha i fari rotti, la musica troppo alta, costruisce le case a caso. ha le moschee e le chiese cattoliche e quelle ortodosse negli stessi metri quadri.
ha un centro di locali e conventi insieme dove si può fare tutto, e un altro downtown nel quale si entra solo dopo ispezione di zaino, perchè è vicino al parlamento. presidiato da soldati a ogni angolo, solo pedonale, contiene ancora tutti gli edifici storici ricostruiti dopo la guerra civile, e una quantità di negozi e locali. vuoti, a tutte le ore. una sotto-città fantasma.
alle porte di questo secondo centro c'è una piazza enorme, con una moschea nel mezzo fatta costruire da rafiq hariri. la moschea pare bellissima, ma ve lo dico per dire perchè non ci si può entrare. in qualità di straniero con la faccia straniera, ho visitato invece senza problemi il mausoleo del costruttore della moschea.
rafiq hariri, il berlusconi libanese, è stato infatti ucciso sul lungomare tre anni fa. nel mausoleo presidiato dall'esercito giorno e notte ci sta 50 volte la sua faccia da tony soprano mediorientale, e un incredibilissimo e gigantesco count up, un conto alla rovescia rovesciato che dice da quanti giorni l'hanno ammazzato.
l'ho detto e lo ripeto, che questo popolo non vuole dimenticare niente, e chissà se fa bene o fa male.