mercoledì 31 ottobre 2007

libano/10: comprare zampirone

fra pochi giorni tornerò a casa, più confuso e curioso che mai. non che tre settimane possano bastare a capire alcunchè di un posto qualsiasi, ma di sicuro non di questo qui.
questo nebuloso paese di tutti, pieno di buoni e di cattivi, di resti fenici e romani, con l'università americana e i lussi insensati eppure affascinanti di alcuni di questi mediorientali sui generis, commercianti da generazioni, abilissimi a creare ricchezza ma forse incapaci di vedersi popolo.
gli hezbollah sono gli unici a sbattersi per se stessi e per gli altri, a quanto pare. uno stato nello stato, che però non si fa giudicare facilmente: integralisti e solidali, partigiani e terroristi. sono i più musulmani di tutti, ma sempre e comunque una minoranza.
i libanesi della media borghesia, a quanto pare tendono a parlarsi in francese. la loro lingua madre è l'arabo, ma a scuola non si studia più: per cui continuano a parlarlo ma se incontrano, che so, un egiziano, si capiscono poco. scrivere in arabo, leggere in arabo, lo fanno sempre meno.
nonostante tutto, non pare il caso di parlare del solito popolo che perde l'identità. loro si piacciono così, sono sempre stati così. non danno punti di riferimento, come certi centravanti ungheresi degli anni 50.

ma guarda in che discorsi mi vado a infilare. è che non c'è verso di dormire, le zanzare non danno tregua e come al solito ho mangiato troppo.

domenica 28 ottobre 2007

libano/9 - sud


sono entrato inconsapevole, ma solo un po', nella mia terza e ultima settimana qui. oggi un piano più ambizioso mi doveva portare a damasco, quattro ore di taxi collettivo da beirut se va tutto bene alla frontiera. invece no: ma a damasco bisogna andarci, e presto e comunque lo farò.
non sono andato perchè il weekend comprendeva già troppe cose.
il mercato souk el tayeb, il punto di riferimento un po' controverso di quelli che si vorrebbe fare noi, oggi era più bello che mai. con più banchi e persone. più colore, più cooperative di donne delle montagne e alcuni mai visti contadini del nord. alla terza visita di fila, posso ormai salutare metà delle persone che ci vedo e persino capire quando mi dicono che dovrei imparare un po' d'arabo, perchè vorrebbero parlarmi di più.
al pomeriggio c'è stato il sud, e perdermelo sarebbe stato un peccato.
l'ho capito ormai o no, che questo è un paese assurdo? il sud, a prima vista lo diresti più ricco, a giudicare dalla campagna, i bananeti, le palme cariche di datteri... ma a saida ci sono i bambini palestinesi che fanno l'elemosina e ti si attaccano alle braccia, come raccontano quelli che hanno visto lontane povertà.
abbiamo pranzato spiedini a saida, in un fornello pronto come si fa a cisternino, che in puglia è il paese della carne arrosto. proibiti gli alcolici, e un rimbambito è entrato nel ristorante armato di coltello per risolvere chissà che controversia. l'hanno cacciato a calci in un nanosecondo, che è stato comunque un po' lunghino.
e poi siamo andati a tiro. tyr e saida, tiro e sidone come alle scuole elementari, in un pomeriggio solo.
30 gradi ancora, un cinema all'aperto, mare, mare, mare e lungomare: non ho portato il costume è una scusa un po' sfigata e lo so, ma da queste parti il bagno in mutande proprio non si fa.

mercoledì 24 ottobre 2007

libano/8 - altri libanesi

uno è walid, il presidente di slow food beirut. ha un ristorante e una panetteria, entrambi carissimi, ed è un druso barbuto e pragmatico, incapace di scegliere le parole. parla un inglese mediterraneo, da film: se non può venire a un appuntamento ti telefona, ma invece di chiedere scusa ti dice "forget about it". pare che sia cuoco e architetto, ma dove la fiction si sovrappone alla realtà, lo sa solo lui.
il reciproco di walid è kamal, raffinatissimo businessman maronita dei mercati; proprietario di un appartamento a jemmayzeh, il centro strategico di beirut, nel quale anche i bicchieri dell'acqua hanno un perchè. ai complimenti per l'abitazione rilancia invitandoti nella sua casa seria di batroun, della quale si favoleggia l'impossibile. anche kamal pare essere di formazione un cuoco.
e un'altra è yumna, giovane bancaria musulmana che si è buttata nell'agricoltura biologica. entra nelle sale dei ristoranti catturando un'attenzione immediata, e paziente soddisfa la fila di quelli che la baceranno tre volte sulle guance. non bastasse il fascino del suo sorriso mediorientale, parla solo in francese: anche le sue patate hanno un'innegabile sensualità transalpina.
il portiere della casa ufficio dove vivo, invece, si chiama samir, e abbatte a sguardi e sorrisi la notoriamente ostica barriera della lingua. ho almeno imparato a dire grazie e buongiorno in arabo per un minimo di interazione, ma confesso con imbarazzo che ho scoperto il suo nome solo oggi.
lui invece deve avere accesso a informazioni riservate. è dal primo giorno che mi saluta dalla porta al piano terra: "marhaba gigi...".

lunedì 22 ottobre 2007

libano/7 - colazioni


oggi a tripoli ho visto un po' di questo famoso oriente, che finora mi era riuscito a sfuggire. nel giardinetto in mezzo al quartiere dei pescatori ho immaginato il mercato che sarà; poi ho visto l'asta del pesce, una roba molto tarantina, a parte i narghilè.
solo che a costo di essere noioso, devo raccontare ancora di nelly.

"what do you want to eat, gigi?" mi ha detto sabato seduta al suo banco del souk el tayeb, come guardando da un'altra parte.
(ma cazzo, mi beccano sempre? d'accordo che ero lì che bazzicavo a chiedere e fotografare da mezzora, che non avevo fatto colazione un po' apposta... fai tu, nelly, qual'è la specialità della casa?)
"ok. sit down."
è seduta su uno sgabellino, più in basso di chiunque possa passare, così da lasciare a vista tutto il suo lavoro. io, di fronte a lei.
alla sua destra mouna, l'altra metà dell'impresa: impasta, li per lì, il pane arabo per il rotolo, e lo cuoce su una piastra, sempre lì per lì. attorno, ovunque, i figli di mouna. impossibili da contare.
pane steso sul tavolo.
quello che sembra un formaggio. ("no guarda, è labne, è uno yogurt quasi solido. lo facciamo noi.")
olive. ("le nostre, ci facciamo anche l'olio. in libano c'è l'olio migliore del mondo, lo sai?")
sesamo. ("questo ormai lo importano tutti, noi no.")
salsa al peperoncino. ("ci vuole, credimi. no, no, facciamo noi anche questa.")
pomodoro e cetriolo, estratti da un cestino di vimini e affettati. ("roba del nostro orto.")
coriandolo, stesso procedimento. ("ti piace? ci sono tanti che lo odiano...")
io mangio tutto, cara, figurarsi quello che mi raccontano con tanta passione.
"bon appetit." e mi allunga il rotolo.

se il banco non è troppo affollato, devi mangiare lì. e alla fine, capire che queste due donne non toccano mai il denaro: c'è un cestino, dove paghi quanto ritieni giusto e ti prendi il resto da solo.

("la specialità della casa, gigi, è offerta dalla casa." non ho potuto insistere: le cose senza prezzo, veramente, non si pagano.)

domenica 21 ottobre 2007

libano/6

succederà anche questo, che qualcuno mi chiederà com'era beirut, e io risponderò "bellissima", o qualcosa del genere.
beirut non è bellissima.
è ubriaca, mezza distrutta e multicolore; ha i fari rotti, la musica troppo alta, costruisce le case a caso. ha le moschee e le chiese cattoliche e quelle ortodosse negli stessi metri quadri.
ha un centro di locali e conventi insieme dove si può fare tutto, e un altro downtown nel quale si entra solo dopo ispezione di zaino, perchè è vicino al parlamento. presidiato da soldati a ogni angolo, solo pedonale, contiene ancora tutti gli edifici storici ricostruiti dopo la guerra civile, e una quantità di negozi e locali. vuoti, a tutte le ore. una sotto-città fantasma.
alle porte di questo secondo centro c'è una piazza enorme, con una moschea nel mezzo fatta costruire da rafiq hariri. la moschea pare bellissima, ma ve lo dico per dire perchè non ci si può entrare. in qualità di straniero con la faccia straniera, ho visitato invece senza problemi il mausoleo del costruttore della moschea.
rafiq hariri, il berlusconi libanese, è stato infatti ucciso sul lungomare tre anni fa. nel mausoleo presidiato dall'esercito giorno e notte ci sta 50 volte la sua faccia da tony soprano mediorientale, e un incredibilissimo e gigantesco count up, un conto alla rovescia rovesciato che dice da quanti giorni l'hanno ammazzato.
l'ho detto e lo ripeto, che questo popolo non vuole dimenticare niente, e chissà se fa bene o fa male.

giovedì 18 ottobre 2007

libano/5 - italiani all'estero

non dico tutti: questi della cooperazione internazionale, povere anime espatriate per mesi e mesi in africa, sudamerica o medio oriente, lontane dalle coop e dalle gazzette dello sport, che tornano a casa per natale e subito si rendono conto di non saperci vivere più, e ripartono per qualche altro altrove.

che si adattano rapidamente allo stile di guida ospitante, specie se peggiorativo in termini di sicurezza e legalità: passano col rosso, parcheggiano negli angoli, fanno retromarce venticinquemetriche nel traffico dell'ora di punta.

guardano rai uno alla tv, che a casa corrisponde a un pulsante ammuffito o rimosso dal telecomando.

si affezionano alla birra locale, in realtà prodotta da qualche multinazionale olandese, per poi commuoversi alla prima, improbabile apparizione della moretti baffodoro. (gli stessi olandesi, nottetempo, hanno sostituito l'etichetta.)

e non viaggiano mai da soli: li accompagna una moka bialetti standard da 2-3 tazzine, patrimonio culturale e genetico di un popolo intero.

martedì 16 ottobre 2007

libano/4

io sono qui per aiutare queste persone ad aprire un mercato; esiste in teoria un modo per farlo, che è stato pensato e scritto molto lontano, e sta a me cambiarlo un pochino e renderglielo più digeribile.
d'altra parte non si cambia continente per andare a spiegare a un popolo come comportarsi a casa sua: è un lavoro di mediazione totale e oggi è iniziato sul serio. ho combattuto per 3 ore metro a metro con questi che di fondo non vanno d'accordo nemmeno fra di loro, ma sono animati da passione ed entusiasmo, e soprattutto ho combattuto con il mio bisogno di farmi voler bene da tutto il mondo conosciuto.
è stata dura ma sono venuto apposta, ho pensato nel dopomeeting mentre mi ubriacavo con il capoprogetto.

lunedì 15 ottobre 2007

libano/3

questo fatto della guerra, degli spari, delle bombe, ogni secondo lo dimentichi e qualcosa te lo ricorda.
te lo dimentichi perchè qui si vive; a beirut sono tutti in mezzo alla strada, nei ristoranti e nei bar e a fumare il narghilè, e pare per il più del tempo che le 17 confessioni possano convivere o perlomeno ignorarsi pacificamente. Li trovi seduti negli stessi posti e specialmente le donne sono un mix stupefacente di oriente e occidente, di tacchi a spillo e veli.

si gioca a pallone, si fa la spesa, ci si grida gli insulti dei finestrini delle macchine come in una torre del greco qualunque.

però quando gli parli, i libanesi non esistono. esistono invece i drusi, i sunniti, gli sciiti, i maroniti e tutti gli altri. esiste il quartiere hezbollah con le foto dei soldati appese a tutti i lampioni, andando in macchina a tripoli si passa accanto a quello che era un campo profughi e troppo bene si vede la distruzione. ci sono i carri armati con i soldati giovanissimi e i buchi nei muri dei palazzi.

non ci saranno i libanesi, ma ci sono le storie e le persone. una si chiama nelly, con una sua socia produce un formaggio vegetale, fatto senza latte ma dalla fermentazione di un grano. nelly ha scelto cinque anni fa di andare a vivere nel sud, non lontano da israele, per fare il suo formaggio e mille altre cose di una vita da contadina, a contatto con il mondo che le piace. l'anno scorso si è trovata in mezzo tra gli israeliani e gli hezbollah, ha tenuto duro finchè la presenza delle mine nei suoi campi si è fatta intollerabile, ed è dovuta andare. con la sua testa dura di capelli bianchi e ricci nelly sta ricostruendo una casa e un laboratorio in un altro villaggio a nord di beirut, e ieri dovevate vederla mentre mostrava il nuovo spazio della sua vita bombardata, dei suoi progetti da sminare, con l'energia felice e gesticolata di chi non molla nè ora nè mai nella mano sinistra e il caffè turco nella destra.

libano/2

abou rabih non si chiama veramente così. questo, semplicemente, è il risultato di una bella inversione a u della cultura araba: quando diventi padre, o madre, chi ti conosce è in diritto di non chiamarti più per nome. diventi, da allora e per sempre, il papà del tuo primogenito. abou rabih, dunque, è il papà di rabih.
è anche vero che ha quattordici altri figli, il nostro eroe, e due mogli, e sempre un nuovo piano da aggiungere al suo palazzetto di campagna nell'entroterra del nord, vicino a tripoli. nonostante una visione dell'urbanistica piuttosto particolare, abou è un coltivatore biologico integralista. due rappresentanti della prole sopracitata hanno assistito senza mai intervenire alla nostra conversazione, e dopo acqua, succhi caffè e dolci ci hanno allungato piatti da tre cachi ciascuno, cachi che mai lingua umana avrebbe potuto concepire, da mangiare a morsi, sbrodolarsi e sporcarsi indelebilmente le mani, in modo da potersele leccare almeno un po' nella mezzora successiva.

sabato 13 ottobre 2007

libano/1

oggi ho visitato un mercato e un forno, ho pranzato a forza di mezze, come delle tapas ecologiche dei libanesi, ho girato in macchina in lungo e in largo questa città incasinatissima e ancora mezzo bombardata, come se non volesse dimenticare niente del suo passato più e meno recente. mi dicono che da lunedì guido io, e ho riflettuto sul signficato di queste due parole mentre vedevo il traffico scorrere delirante a destra, sinistra, sopra e sotto.
ma la verità è che a trascorrere pomeriggi interi a discutere in posti dove tutti ti fumano attorno non sono più abituato: e dire che ho passato così tutti i giovedì pomeriggio di otto anni della mia vita.

libano/0

eccomi tornato nell'estate, di un posto da 24 gradi di notte, appena attraversato in macchina senza capirci niente nè vedere niente.
sull'aereo da francoforte c'era una variegata popolazione mediorientale immigrata in europa e io.
seduto in mezzo a una signora svizzero/libanese e a un ristoratore libano/norvegese. ho appreso dunque che tutto questo popolo vive, fondamentalmente, da un altra parte; che tutti hanno un amico che ha studiato in italia e una nuora mezza italiana (mi aspettavo da un momento all'altro che mi facessero i nomi e mi chiedessero se li conoscevo); che probabilmente tutti sanno di cibo più di me (che ho scritto sul foglio del visto food consultant, con improvvida presunzione), ed hanno passato la metà del tempo a spiegarmi le proprietà dell'arak, a raccontarmi dei vini della valle della bekaa e delle insalate di prezzemolo.
tornavano, la signora ed il ristoratore, a casa dopo anni di europa, e si parlavano alla mia destra e alla mia sinistra metà in arabo, metà in inglese e metà in francese, per un totale di 1,5 conversazioni.
avevano voglia di casa. poco prima dell'atterraggio il ristoratore mi ha dato di gomito e ha picchiettato sul vetro con una piccola emozione, per mostrarmi le luci di beirùt.

venerdì 12 ottobre 2007

citazione necessaria*

ci sarà figa a beirut?

Fri, Oct 12
Flights: LUFTHANSA, LH 3975
Operated by EUROWINGS
From: BOLOGNA, ITALY (BLQ) Departs: 6:25pm
To: FRANKFURT, GERMANY (FRA) Arrives: 8:05pm
Departure Terminal: Duration: 1 hour(s) and 40 minute(s)
Arrival Terminal: TERMINAL 1 Class: Economy
Seat(s): Check-In Required Status: Confirmed
Notes:
Gate:
Aircraft: BRITISH AEROSPACE 146 JET Airline Confirmation: ZV74OP
Meal: Refreshment - Complimentary Mileage: 401
Smoking: No Frequent Flyer:
Please verify flight times prior to departure
Flights: LUFTHANSA, LH 3518
From: FRANKFURT, GERMANY (FRA) Departs: 9:10pm
Fri, Oct 12
To: BEIRUT, LEBANON (BEY) Arrives: 1:55am
Sat, Oct 13
Departure Terminal: TERMINAL 1 Duration: 3 hour(s) and 45 minute(s)
Arrival Terminal: Class: Economy
Seat(s): Check-In Required Status: Confirmed
Notes:
Gate:
Aircraft: AIRBUS INDUSTRIE A321 JET Airline Confirmation: ZV74OP
Meal: Refreshment - Complimentary Mileage: 1763
Smoking: No Frequent Flyer:
Please verify flight times prior to departure


*Enzo Baldoni, Bloghdad

giovedì 4 ottobre 2007

ho fatto

un po' di fretta, un po' troppo di fretta, certo.
rimpiangerò le birre che non ho bevuto per festeggiare, sono invece corso via dal tribunale. e ci sono già a 700 chilometri, e domani pretendo di tornare alla vita quotidiana.
si sappia comunque che in un tribunale tutto e il contrario di tutto può capitare, il diritto è più incerto lì che ovunque altro al mondo. gli avvocati arrivano all'ultimo momento o non arrivano affatto, danno pacche sulle spalle, non ascoltano mai e parlano sempre, offrono caffè, hanno una battuta per tutti, ed il loro lavoro sembra essere quello e nient'altro.
siamo noi che ci presentiamo illusi, armati dei diritti che crediamo di avere; e i termini ci sono presentati come improrogabili mentre non lo sono quasi mai.
ho fatto dunque. mi sono presentato di fronte a un giudice con un numero e due assegni, ed è andata bene. due più disgraziati di me hanno partecipato all'asta che doveva salvarmi la vita o ammazzarmi. ho dovuto solo aspettare il tempo legale per i rilanci: 180 secondi, scanditi da un tabellone rosso sottratto ad una vecchia edizione di giochi senza frontiere. truccato da Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi in persona però: altrimenti non si spiega come 3 minuti possano durare tre ore, tre giorni, tre vite.